Qualche volta capita che io sia invitata per un laboratorio di Musica delle Piante anche nelle scuole. Questa volta l’invito è arrivato da una bambina. Mi ha conosciuta circa due anni fa, quando aveva da poco cominciato la scuola elementare. Era molto piccola ma non ha dimenticato. Ha raccontato alla mamma, insegnante di musica, di aver ascoltato le piante cantare, con tale emozione, meraviglia ed entusiasmo che la sua mamma ha voluto riproponessi il laboratorio anche nella scuola dove attualmente insegna: International School di Milano.
Di come sia possibile ascoltare il linguaggio nascosto del mondo vegetale ho già parlato altrove. Per comprendere qualcosa di più su come sia possibile tradurlo in note musicali, grazie alla tecnologia e agli strumenti di cui io stessa mi avvalgo è possibile visitare ad esempio il sito The Music of the Plants. Ne esistono comunque molti altri sull’argomento.
Oggi vorrei portare maggiormente l’attenzione su cosa accada quando la comunicazione, ancor più se tra bimbi della scuola materna (quattro, cinque anni in media), si sposta verso uno stato di coscienza “straordinario”, cioè un pochino oltre quello “ordinario” a cui siamo abituati a permanere durante l’affaccendarsi in questa o quella attività. Come sempre i bambini sono i nostri migliori maestri. I migliori protagonisti di straordinari atti poetici, per chi ha occhi per vedere e orecchie per intendere quello che raccontano.
Superato l’effetto “WoW!”, nell’attimo in cui grazie al sintetizzatore elettronico ci si accorge che la pianta sta comunicando in note musicali, si può entrare gradualmente nell’ascolto. I bambini sanno farlo senza grandi spiegazioni. “Ora proviamo a descrivere disegnandolo sul foglio, cosa la pianta sta cercando di dirci nella sua propria lingua.”
Comincia così un racconto misterioso quanto poetico, mentre le insegnanti stesse si commuovono nel guardare i loro piccoli allievi. Una delle insegnanti: – “Io non so se crederci, ma le emozioni che sto provando sono incredibili.” .
I bimbi restano in quasi totale silenzio, senza che bisogna fare sforzi particolari perché questo accada. La parola più frequente con cui titolano i loro disegni è: “Happy.”. Adam, nel suo fare, ha mostrato chiaramente all’insegnante cosa accade quando si comincia a disegnare partendo da uno stato di coscienza ordinario, quello in cui le emozioni e la capacità di ascoltarsi premono da dentro in modo non del tutto armonico, e cosa accade invece dopo cinque minuti di ascolto della Musica delle Piante. Nel disegno in basso a sinistra, un altro bimbo stava dando forma ad una lunghissima cascata. L’insegnante ha visto, mi ha guardata con occhi meravigliati. Ecco! A cosa si creda o no diventa subito poco importante, quando un bambino ti fa “Vedere!”.
Scopri tra loro piccoli grandi artisti.
Ho fatto loro delle domande, così che potessero imparare qualcosa di più sugli alberi. “Sapete dirmi qual é l’essere vivente più grande del mondo?”. Cominciano a fare a gara nel cercare di rispondere, tra quelli meno timidi. “La giraffa!” – “La balena!” – “Un albero!“. Bea, al centro del gruppo, mi guarda con occhi luminosi, allora chiedo anche a lei, sperando di aiutarla a vincere la timidezza: “Quando non ci siamo, in casa c’è un gigante!” – “Sapresti descriverlo?”. Resta in silenzio. “Non importa proveremo poi a disegnarlo.”. Ancor più tenerezza mi hanno fatto un paio di bimbi che non vedevano l’ora di dire anche la loro, per ritrovarsi poi a non sapere con quali parole dirlo: “Perché… perché… perché… perché… perché” – “Va bene, pensiamoci ancora su un pochino e poi lo diciamo. Abbiamo tutto il tempo”. Così sorridono.
Nel riguardare con attenzione alcuni loro disegni, ne osservo uno che mi lascia particolarmente colpita. Le piante sono notoriamente come antenne che puntano al sole, ma non solo, da cui ricevono l’energia necessaria per vivere, ma anche “informazioni” molto utili alla nostra evoluzione. Non ho mai visto una bimba disegnare due soli, ed evidenziare in modo così eloquente il suggerimento circa il modo migliore di tenere in equilibrio forze talmente potenti in noi, per loro stessa natura, da far vivere come in bilico su un precipizio. Il suo disegno parla di “stelle binarie”. Si potrebbe scrivere un libro osservando questo “semplice” disegno fatto da una bimba di “soli” cinque anni, e provare a cambiare in modo incisivo ciò a cui è giunta la psicologia fino ad oggi. Poco, troppo poco, rispetto a ciò che dovremmo cominciare a conoscere meglio.
Chiedo ancora: “Qual è secondo voi l’essere vivente più anziano nel mondo?”. “Mio nonno, ha 99 anni!” – Un altro, lasciando a bocca aperta me e le insegnanti, mi guarda dritto negli occhi e dice: “Dio!“. Bea, che ora ha vinto la timidezza parlando senza bisogno di essere ancora invitata a farlo: “Un albero che aveva dietro un arcobaleno.” Come mi piacerebbe trascorrere qualche ora ad ascoltare i racconti di Bea.
Chiedo allora a loro se hanno delle domande da fare, anche alle piante se lo desiderano. Continuano a dire cosa sentono: “Oggi sono felice“, come se non fossero in grado di distinguere tra il sentire e il porre una domanda, lasciando in me e nelle insegnanti, con cui ho poi avuto modo di parlare di questa loro reazione, la consapevolezza dell’urgenza di rivedere il sistema pedagogico. “Vi fanno domande? Li educate alla libertà di porne senza che si sentano stupidi? Provando poi a dare loro delle risposte?” Perché non fanno domande? A nemmeno cinque anni! Quando cioè i tuoi “perché” potrebbero essere infiniti. Semplicemente sanno già tutto o davvero la scuola li ha già inibiti fino a questo punto? Interrogativi importanti per noi adulti, a cui urge rispondere.
Potrei raccontare ancora tante cose, lascio qui un po’ di immagini sulle opere nate da un incontro poetico, reso possibile dall’apertura dell’International School verso qualcosa di “più” dall’usuale programma scolastico, offrendomi in tal modo la possibilità di approfondire la mia ricerca, nell’osservare un linguaggio che va oltre i limiti delle “parole”, in un contesto internazionale e quindi per sua natura meno vincolato sia ai confini di una sola lingua parlata che di una sola cultura di riferimento famigliare.
Andando via… una morsa al cuore mi ricorda il genere di scuola che bisognerebbe garantire ad ogni bambino.
Magda Giannino
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