In Piazza Frattini hanno abbattuto 54 alberi, di cui alcuni quasi secolari, sotto gli occhi inermi seppure esterrefatti di tutti. – Lavori in corso per la Metro 4 – dicono. Il mio gesto voleva essere una protesta, un modo per dare ai passanti e a tutti gli abitanti del quartiere la possibilità di “accorgersi” della dignità degli alberi, quali esseri viventi, insieme all’importanza vitale che comunque hanno per noi.
Noi esseri umani dalla mente semplice comprendiamo la dignità solo se questa riesce ad essere comunicata attraverso una lingua a noi comprensibile. Tiziano Terzani sostiene:
“Dio è in tutte le cose, per essere visto dalle menti semplici …bisogna dargli degli occhi.”
Riportare l’attenzione nel punto giusto è sempre poesia, penso che non esista forma di protesta o rivoluzione più grande di quella di cui è capace il Poeta.
Ho esultato come per una vittoria realmente conseguita, quando per strada ho visto qualche bimbo passare e salutare l’albero che oggi ha un volto, o quando ho visto l’anziano arrestarsi di colpo e voltare lo sguardo sorridente verso la chioma dell’albero, lo stesso sguardo che porta in giro solitamente accigliato e chino verso l’asfalto.
Grazie all’aiuto degli amici di Mattia Calise, un gruppo di attivisti del Movimento 5 Stelle che hanno a cuore gli alberi almeno quanto me, gli alberi con un volto, da 7, sono diventati 100, nell’intento di raggiungere i 500 (infatti il piano approvato per i lavori della Metro4 di Milano pare preveda di abbatterne almeno 573).
Solo in seguito, con una piantina tra le mani, mi sono anche accorta della particolare forma geometrica di Piazza Frattini se osservata dall’alto, se guardata oltre la sovrastruttura della Metro, con quella sua forma come di astronave aliena atterrata nel bel mezzo della città.
Un grande cerchio con al centro una croce; si tratta di un simbolo antico quanto la Terra, un simbolo vivo, portatore in se stesso di una immagine dell’espressione della vita con i suoi elementi, nonché dell’anima, secondo alcune tradizioni, in quella egizia e fenicia significa “uomo in un luogo protetto“. Un simbolo ha una valenza sulla coscienza di coloro che osservano, come sull’inconscio personale e collettivo anche di chi non si accorge, di chi non sa. Senza essermene mai accorta, ho nei pressi di casa una croce cerchiata, collegata alla chiesina millenaria di San Protaso grazie ad un sentiero di platani che sembrano farle da sentinelle e custodi sullo spartitraffico della Via Lorenteggio. Dicono che sia la chiesina più antica di Milano. Al suo interno in un affresco del 600 c’è un’immagine di Maria, la Madonna. Si dice inoltre che scendendo dalla botola situata nella zona dell’abside, si acceda ad un antica galleria che dalla chiesina porta fino in San Vittore o addirittura fino al Castello Sforzesco, usata in passato come passaggio segreto quando era necessario allontanarsi dalle mura della città.
Osservando la piantina urbana, recuperata tra quei documenti che il Comune fa sempre così fatica a concedere ai suoi cittadini, sebbene ne abbiano diritto per legge, contavo gli alberi censiti (rossi da abbattere e verdi da trapiantare), esaminandoli con quelli contati personalmente tra gli abbattuti e i sopravvissuti della piazza mi sono accorta che ne mancano 13! Sono spariti prima dei lavori! Ma quando e perché? Daniela mi ha raccontato di aver visto qualcuno venire in piazza periodicamente durante l’anno per abbatterne qualcuno prima dell’albericidio vero e proprio, ma senza saperne realmente il motivo (manutenzione?).
Mettendomi in ascolto della mia stessa domanda, in connessione con quel soffio che, attraversando ogni cosa, è capace di farmi sentire parte dell’unico organismo vivente di cui tutti apparteniamo, mi sono accorta ancora una volta di come ciascun membro di questo organismo non può non accorgersi di ciò che accade alle altre membra, salvo non sia stato anestetizzato, drogato.
Ho provato dolore quando questi alberi sono stati massicciamente abbattuti.
Restando in questo genere di connessione, mentre osservavo la piantina, come in un soffio lieve che ti avvolge in tutti i sensi, l’immagine della Madonna dell’Albero di Carimate si è affacciata gentilmente tra i miei pensieri, mentre mi sussurrava ancora una volta di come la Dea, attraverso l’immagine di Maria, avesse trovato nel corso della storia un modo per comunicare con le persone anche grazie agli alberi, un albero, per la precisione, secondo quanto narra la leggenda della Madonna di Carimate. Per me Dea è il volto femminile dell’Uno, il Dio di tutte le cose, in cui credo, che talvolta sembra prediligere la sua veste femminile nel parlarmi.
Con un tonfo dietro lo sterno, mi sono accorta di come l’azione in corso ai danni degli alberi di Piazza Frattini, nell’intento insano del progetto di arrivare fino alla chiesina e distruggere tutto, fosse ancora una volta un’azione di più ampia distruzione della Natura, non solo degli alberi di una via, e in essa di quella Madre, Dea o come meglio si preferisce chiamarla, da cui proviene e torna costantemente la nostra stessa Vita.
Come in una gigantografia, osservando la piantina della piazza, ho visto oltre, negli alberi della piazza come le radici di un unico albero, il cui tronco è diventato la via Lorenteggio, i cui platani sono diventati ai miei occhi le fronde dello stesso unico albero, al centro la Dea, questa volta nell’immagine della Madonna in San Protaso.
Osservando questa porzione di Milano dall’alto, ho rivisto, proprio come se fosse una gigantografia, l’icona stessa della Madonna dell’Albero di Carimate. C’è chi sostiene io abbia una fervida “fantasia”…
L’immagine così vissuta ha reso ancor più chiaro in me il dolore provato alla vista della piazza, ormai simile ad un campo di battaglia dove gli alberi questa volta hanno avuto la peggio, un dolore che nasce da qualcosa di più del senso di prevaricazione al quale il vivere in città ha un po’ abituato tutti noi, il dolore per qualcosa che si è mosso molto in profondità nell’anima, a cui io con l’osservazione riuscirò forse a dare un nome, ma quanti del quartiere, soprattutto i più anziani, stanno vivendo questo stesso disagio del profondo senza sapere come poterlo meglio esprimere? Mi chiedo se questo genere di domanda sia lecita nella nostra “cultura”, se sia anche lontanamente balzata in mente ai responsabili delle nostre istituzioni, prima di dare l’ok a questo piano lavori. La distruzione di un albero centenario è causa di shock emotivo! Non solo per gli ipersensibili come me. Questo è un fatto. Certo, certo… il sarcasmo mi suggerisce infelicemente che in questo mondo bisogna rispettare il paradigma degli scellerati, prima ancora che quello dei saggi della Terra, da relegare invece nei libri di fiabe per bambini: “produttività prima ancora che umanità, sete di denaro e di potere ben travestiti da progresso, così che possano avere una valida giustificazione”.
– Ma li ripianteranno! Basta fare tante storie e ostacolare il progresso! – Dicono. Ma un albero di 100 anni come può essere ripiantato? Allora rispondo: “Non si poteva scavare 10 metri più sotto? Come si fa nelle società più civili della nostra? O aspettare l’autunno per trapiantare, invece di farlo in primavera condannando a morte anche il salvabile? Forse anche i bambini sanno che un albero non va trapiantato mentre germoglia… E per dare inizio ai lavori, invece di mentire con la scusa che non c’è denaro a sufficienza, perché non usare i molti soldi finiti impropriamente chissà dove, a causa dei ladri che ci sono dietro il progetto della M4? Di cui qualcuno già in galera. Inoltre perché non aspettare a tagliare, per dei lavori che non cominceranno prima di un anno, o chissà quando? Certo, certo… il sarcasmo mi suggerisce infelicemente che se non si fosse agito così, allora come come si sarebbe potuto dare evidenza di quell’inizio lavori necessario ad ottenere i finanziamenti, che non si capirà mai come siano gestiti!”
Provo davvero una gran pena per chi riesce ad accontentarsi di un “li ripianteranno!”, poiché mi accorgo di quanto sia inconsapevole di essere manipolato, fino alla radice della sua stessa anima.
La Madonna di Carimate, con la sua dolcezza, ancora una volta richiama la mia attenzione, non è la prima volta in effetti. Arriva in me come il richiamo di quella stessa Dea a cui mi piace dare il nome di Madre Terra o Madre della Madre e che nella sua forma spirituale spesso mi si presenta anche nell’immagine di Maria. Richiamo che credo esista in ogni donna della Terra, quale che sia il nome che ciascuna cultura ha imparato a darle.
Questa volta, curiosamente, ha risuonato in me forte anche il rumore dato dall’assenza dei 13 alberi mancanti all’appello. Un maestro una volta mi ha insegnato a prestare attenzione ai particolari, alla vera interruzione del campo quando nel mio intento c’è la necessità di indagare e trovare quindi la porta di accesso alla riarmonizzazione desiderata, armonizzazione che non può avvenire solo facendo la guerra al nemico di turno, ma soprattutto se si è disposti ad osservare qualcosa di più sulla verità, oltre il più comune piano di realtà.
Come in un lampo, dall’osservazione dei 13 alberi mancanti, mi sono ricordata di una delle battaglie più misteriose che ha coinvolto i grandi poeti del passato, i cosiddetti bardi:
la Cad Goddeau (La Battaglia degli Alberi), quella che qualcuno ha definito anche la battaglia delle lettere.
In essa pare sia nascosto il segreto dei segreti, secondo un’antica tradizione celtica addirittura il mistero stesso del Nome di Dio…
Sono andata a riprendere un libro che avevo messo da parte, che narra proprio dello studio di questa battaglia. Una coincidenza resta nulla più che una coincidenza, molte coincidenze insieme stanno invece narrando una storia, anche se nascosta. La battaglia dei “#573alberi da salvare“, nata come protesta cittadina in seguito all’abbattimento di quelli della piazza dove ne mancano 13 all’appello, è molto di più di una coincidenza, di una personale associazione mentale ai 13 alberi della Cad Goddeu, è qualcosa che cerca di rendersi manifesto sul piano reale attraverso una dimensione più puramente archetipica, secondo il mio modo di osservare le cose.
Allora quando l’archetipo si presenta ai miei occhi sul piano manifesto, ho imparato che è l’ora che io comprenda bene il mito o i miti attraverso il quale è possibile osservarne l’azione, se nell’intento c’è il padroneggiare quello che accade nella direzione di una armonizzazione che va oltre le lotte politiche, religiose o sociali.
In questi casi mi comporto con il mito proprio come si farebbe tenendo tra le mani la piantina topografica di una piazza. La piantina la puoi osservare per conoscere meglio una grande piazza, il mito lo ascolti per comprendere l’archetipo che sta agendo attraverso la realtà, di cui partecipiamo costantemente, consapevoli o inconsapevoli che ne siamo.
A che serve tutto questo?
Una persona che conosce il significato di “civiltà” saprebbe ben rispondere a questa domanda; dal canto mio è semplicemente il modo che ho scoperto essermi utile per restare in equilibrio, anche spiritualmente, sicuramente molto più del lasciarmi trascinare da una sensazione di dolore che in questo caso lascia dentro di me la sensazione di qualcosa di molto di più della tristezza per la morte di qualche albero amico.
Quando si distrugge un albero – sano – si distruggono anche le radici della storia delle persone ad esso legati, per un albero in città quella dei suoi cittadini. Ma come rendere comprensibile, ai più, un simile messaggio?
Ogni essere umano dovrebbe poter imparare a riconoscere la parte spirituale di sé, senza trascurare le altre dimensioni dell’essere. Oggi ci si occupa o dell’una o dell’altra parte, e spesso l’una denigra l’altra e viceversa. La mia opinione è che questo accade quando la voce di chi si esprime è quella dello stolto, che non ricorda che siamo nati per essere Uno e non divisi tra di noi o nei confronti della Natura e quindi inevitabilmente in noi stessi.
Talvolta quando mi chiedono cosa io intenda per “transpersonale”, non mi è sempre facile spiegarlo, poiché per essere compreso realmente è necessario farne esperienza. Provo con un esempio. Presa dal dolore apparentemente esagerato, tanto da piangerci a calde lacrime, per l’abbattimento dei 54 alberi di Piazza Frattini, senza avere la possibilità di chiedere al Comune i danni morali, ho chiesto semplicemente un dono dal cielo, un dono che potesse aiutarmi a far luce su quanto stava accadendo, anche solo a me stessa. Questo mi avrebbe aiutata a digerire meglio la faccenda.
E’ stato così che è arrivato in zona Mattia, anche lui per protesta. A differenza di me che ho cominciato ad attaccare cuori agli alberi, Mattia si è letteralmente arrampicato su uno di essi, mettendoci in tal modo il suo stesso cuore. Ha poi cominciato, da quella posizione, a chiedere a gran voce alle istituzioni di mostrarci, in modo documentato e attento, dove fossero stati rispettati i nostri diritti di cittadini in questo scellerato progetto. Mi è piaciuto! Cosa c’è di transpersonale in tutto questo? Che Mattia vuol dire “Dono di Dio”. Questo per me è transpersonale. Ho chiesto ed è arrivato, attraverso la concreta realtà. Chi ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare, impara a riconoscere anche ciò che si muove dietro le quinte del palcoscenico, quel qualcosa che si muove attraverso di noi ben oltre le nostre storie personali, in quella dimensione dell’esistenza che molti rappresentano con il divino e che io definisco appunto “transpersonale”, con un termine che pare si adatti meglio ad ogni tipo di cultura, orientamento o religione, in quanto insito alla natura umana oltre la politica e la religione.
Nel giro di un solo giorno – Dio solo sa come – ci siamo ritrovati insieme per le strade con un numero sempre maggiore di persone animate dallo nostro stesso intento: proteggere gli alberi.
Scendere insieme per strada, grazie agli alberi, ci ha portati a vivere un esperienza di grande umanità. Uno dei presenti, politicamente impegnato, che si è accorto del lavoro che c’è dietro la stampa di ogni cuore donato ad un albero, mi ha consentito di dirgli: “per me ognuno di questi 500 cuori ha il valore di una preghiera per i nostri amici alberi e anche per noi, che siamo qui e crediamo sinceramente si possa far qualcosa”. Mi ha risposto: “Si però! Adesso per favore non confondiamo quello che facciamo con la religione! Attenzione per favore!”. Con gran piacere ho potuto rispondere a mia volta che la preghiera è uno degli istinti più elevati di ogni essere umano e, in quanto istinto alimentato ed educato dalla Fiducia, appartiene all’essere umano e non alla religione, qualsiasi sia il suo nome. Questo lo ha convinto che eravamo insieme per strada mossi comunque da un comune intento.
Tornando al ricordo della “Cad Goddeau“, poema dell’epoca in cui la Natura aveva per gli esseri umani un valore molto diverso da quello di oggi, ho scoperto che i bardi erano poeti e sacerdoti (ponti tra l’umano e il divino) in un tempo in cui poesia e spiritualità e viceversa erano inscindibili, così come lo erano la poesia e la spiritualità dalle faccende del piano reale.
Riporto i passi che più mi hanno fatto riflettere sull’argomento, tratti dal libro “La Dea Bianca” di Robert Graves (Gli Adelphi), uno dei saggi più interessanti che io abbia letto a proposito di relazione tra archetipo, poesia e divinità, argomento caro ad Arteikos, che volge il suo interesse più che alla politica o alla religione, proprio all’arte, alla natura e alla spiritualità.
***
“Se siete poeti comprenderete che l’accettazione della mia tesi storica vi obbliga ad una confessione di tradimento che sarete restii a fare. Avete scelto il vostro lavoro perché vi prometteva un entrata costante e il tempo libero necessario per rendere un prezioso culto a metà tempo alla Dea che adorate. Vi domanderete a che titolo io vi avverta che essa vuol essere servita a tempo pieno o non esser servita affatto. (…) Ardisco solo tentare un esposizione storica del problema; come voi poi ve la vedrete con la Dea è cosa che non mi riguarda. Non so neppure se la vostra professione poetica sia cosa seria.
(…) La verità è che l’oro lo si può ricavare solo dal minerale d’oro, così come solo la poesia dà poesie. (…) La mia tesi si fonderà sull’analisi di due straordinarie poesie gallesi del XIII secolo scritte da menestrelli nelle quali sono ingegnosamente nascoste le tracce dell’antico segreto.
(…) L’ollave (poeta) irlandese si prefiggeva prima di ogni altra cosa l’esposizione esatta e raffinata di una complessa verità poetica. Conosceva la storia e la valenza mitica di ogni parola che impiegava (…). Presso gli inglesi, benché manchi il tradizionale rispetto per il poeta (qui prevalgono i menestrelli in seguito alla persecuzione dei drudi data dall’avvento del cristianesimo) esiste però una consapevolezza tradizionale del Tema. Il quale Tema, detto in breve, consiste nell’antichissima storia, divisa in 13 capitoli e un epilogo, della nascita, vita, morte e resurrezione del dio dell’Anno Crescente. I capitoli centrali riguardano la battaglia da lui combattuta e persa contro il dio dell’Anno Calante per amore della capricciosa e onnipotente Triplice Dea, Madre di entrambi, loro sposa e seppellitrice. Il poeta identificava se stesso con il dio dell’Anno Crescente e la sua musa con la Dea; il rivale è il suo fratello di sangue il suo doppio, il suo weird o destino. Tutto ciò che è vera poesia celebra qualche episodio o qualche scena di questa antichissima storia, di cui i personaggi principali sono a tal punto parte della nostra eredità razziale che non si limitano ad imporsi nella poesia, ma si manifestano in occasioni di particolare intensità sotto forma di sogni, visioni paranoiche e deliri.
(…) Il < <Libro rosso di Hergest>> comprende anche una miscellanea di 58 composizioni poetiche, nota come <<Libro di Taliesin>>, nella quale compare anche un componimento in versi appartenente ad un <<Romanzo di Taliesin>> (…)
Il <<Romanzo di Taliesin>> contiene una lunga poesia (…) nota come Cad Goddeu (<<La Battaglia degli Alberi>>) – combattuta da Arawn re di Annawn (<<il luogo senza fondo>>) e i due figli di Don, Guydion e Amathaon – i cui versi sembrano privi di senso perché sono stati deliberatamente <<mescolati>> (…) (contengono un segreto).<<A meno che tu conosca il Nome possente,
stai zitto , o Heinin!
Per ciò che riguarda l’eccelso Nome
E il possente Nome…>>Facciamo il punto della situazione storica: <<Gwion>>, chierico del Galles settentrionale alla fine del XIII secolo (…) scrisse (o riscrisse) un romanzo su un Fanciullo miracoloso in possesso di una dottrina segreta che nessuno poteva penetrare, dottrina racchiusa in una serie di poesie mistiche inserite nel romanzo stesso. Il quale romanzo si basa su un testo ben più antico, del IX secolo (…)
Il fanciullo miracoloso pone un indovinello che presuppone la conoscenza non solo della mitologia gallese e irlandese, ma anche del Nuovo Testamento in greco e della versione greca dei Settanta, delle Scritture e degli Apocrifi ebraici e della mitologia grecolatina. La risposta all’indovinello è una serie di nomi che corrisponde da vicino (…) ai nomi originali delle lettere dell’alfabeto ogamico (attribuito al dio goedelico Ogma Volto-di-Sole)
(…) Il primo sospetto che l’enigma di Gwion contenesse un alfabeto mi venne quando cominciai a fare ordine nel testo volutamente rimescolato della Battaglia degli Alberi (il poemetto che narra allusivamente un antica tradizione britannica, la conquista di un santuario oracolare compiuta indovinando il nome di un dio). (…) I nomi delle lettere dell’alfabeto di Gwion nascondono il nome del dio trascendente venerato in Gallia e Britannia.
(…) La prima volta che mi imbattei nell’alfabeto arboreo Beth-Luis-Nion fu mentre leggevo l’Ogygia (…) il quale lo presenta come un autentico vestigio druidico (…) tramandato oralmente nei secoli e, sembra, usato in epoca più tarda solo per la divinazione. E’ un alfabeto di cinque vocali e tredici consonanti dove ogni lettera prende il nome da un albero o da un arbusto di cui è l’iniziale:Beth B Betulla
Luis L Sorbo selvatico
Nuion N Frassino
Fearn F Ontano
Saille S Salice
Uath H Biancospino
Duir D Quercia
Tinne T Agrifoglio
Coll C Nocciolo
Muin M Vite
Gort G Edera
Pethboc P Ebbio o Sambuco selvatico
Ruis R Sambuco
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Ailm A Abete d’argento (albero della nascita – solstizio d’inverno)
Onn O Ginestrone (equinozio di primavera)
Ur U Erica (solstizio d’estate)
Eadha E Pioppo bianco (albero del trionfo – equinozio d’autunno)
Idho I Tasso (albero della fine – morte)Anche nell’alfabeto irlandese moderno le lettere hanno nomi di alberi. (…) Notai quasi subito che le consonanti formano un calendario di magia arborea stagionale (13 mesi lunari) e che tutti gli alberi figurano abbondantemente nella tradizione popolare europea. (…) Le vocali costituiscono una sequenza stagionale complementare (..) rappresentano delle stazioni nel corso dell’anno. Io le interpreto come gli alberi particolarmente sacri alla Dea Bianca che presiedeva l’intero anno e alla quale era sacro il numero cinque. Infatti Gwion, nella poesia Kadeir Taliesin, (…) descrive il Calderone dell’ispirazione, il calderone di Cariddwen, come: <<Dolce calderone dei cinque alberi>>.
(le vocali erano lettere particolarmente segrete, portatrici di misteri che non potevano essere svelati, non a chiunque, basta pensare alla soppressione delle vocali negli alfabeti fenicio ed ebraico strettamente connessi a quello del mondo iperboreo)
L’introduzione nella scrittura ebraica di segni vocalici sotto forma di punti è ascritta ad Ezra che assieme a Neemia stabilì la Nuova Legge attorno al 430. E’ probabile che la soppressione delle vocali sia avvenuta in un epoca in cui il Santo Nome della divinità che presiedeva l’anno consisteva solo di vocali. (…) E’ lo IEOUA di Palamede (…) I puntini con le quali si scelse di rappresentarle non facevano parte dell’alfabeto e avevano un senso solo quando uniti alle consonanti e dunque potevano essere usati senza commettere sacrilegio (in quanto portatrici in se stesse del Santo Nome del dio).***
Continuando a leggere il saggio di R. Graves, è possibile comprendere come egli abbia indagato i fatti storici, fino ad arrivare alla conclusione che tutte le civiltà del mondo che un tempo vivevano attorno al mediterraneo e oltre, fino alle isole britanniche, avessero una comune matrice culturale e religiosa. Il segreto nascosto nella “Battaglia degli Alberi”, il significato delle vocali che per tutte queste civiltà conducevano parimenti al Nome stesso di Dio, svela non solo il valore archetipico della scrittura nella storia dell’umanità, ma anche quanto la comune origine indichi che siamo davvero tutti figli di una stessa Madre.
R. Graves nota ad esempio che la prima e l’ultima lettera dell’antico alfabeto arboreo di cui ci narra la “Battaglia degli Alberi”, la “B” e la “I” di Betulla e Tasso, corrispondono anche alle iniziali del nome delle due colonne che sorreggono il Tempio del Santo dei Santi per gli ebrei (Boaz e Iachin), questo per sottolineare anche meglio, con il suo studio, il legame che esisteva tra le civiltà dell’antichità (egizia, ebrea, greca, latina, celtica… iperborea), legame conservato in un segreto la cui conoscenza era detenuta da chi aveva un ruolo sacerdotale.
Cosa c’entra l’attuale “battaglia dei #573alberi da salvare” di Milano, con l’antica Cad Goddeu? Un associazione azzardata? Potrò scoprirlo oltre i segnali dati dalle coincidenze, solo continuando nella mia ricerca tra leggenda e mito, mentre uso questi ultimi come lente di ingrandimento per osservare la mappa del territorio sul quale sta avvenendo l’ignobile abbattimento di alberi maestosi a Milano.
Fin d’ora l’associazione mi pare tutt’altro che azzardata. Se osservo il valore del legame inscindibile tra mondo umano e mondo vegetale, calpestato oggi da questioni di potere (travestite con il nome di progresso), mi accorgo che questo è anche ciò di cui tra le righe ci parla la Cad Goddeu (La Battaglia degli Alberi). Con le sue rime ha conservato la storia di questo legame, comune a tutte le civiltà del mondo conosciuto e tramandato come segreto. Anticamente trattato come tale perché rimanesse appannaggio dei sacerdoti, che potevano così trarne il loro potere divinatorio e spesso manipolatorio, in seguito trattato allo stesso modo – come un segreto – dai loro persecutori (chierici) che per altrettante questioni di potere hanno cominciato a perseguitare e negare chiunque alimentasse il legame profondo che esiste tra Uomo e Natura, secondo una dimensione non solo fisica ma anche spirituale, dunque divina dell’esistenza. Nel medioevo si portavano al rogo le donne come “streghe” solo perché a conoscenza del potere di cura delle erbe, non altrettanto succedeva ai monaci per fortuna, che sono così riusciti a tramandare in parte il “Segreto”.
Gli alberi condividono con noi non solo l’aria che respiriamo, ma la nostra storia, sono monumenti vivi, condividono con noi una storia che attraverso il mito ci unisce in una dimensione della coscienza che non è solo conoscenza, ma consapevolezza di chi noi siamo. Abbattere un albero è molto più che togliere ossigeno, ombra, conforto, ecc…
Ho osservato che nella piazza circolare divisa in quattro da una croce di vialetti, sono stati risparmiati gli abeti a sud, ovest e nord, mentre sono state abbattute tutte le querce dell’ingresso a est nella piazza. L’ingresso a est è tipicamente l’ingresso di ogni tempio in molte culture del mondo, poiché è l’ingresso da cui entra il sole nascente. La quercia, nel poema della “Battaglia degli Alberi” che conserva l’enigma che dona il potere di colui che conosce il vero Nome di Dio, è definita:
“La quercia che si muove agilmente,
dinanzi a lei tremano cielo e terra,
robusto custode della porta contro il nemico
è il suo nome in ogni terra”
Un tempo, abbattere una quercia significava andare incontro alla pena di morte, oggi si è completamente perso il senso del significato: “robusto custode della porta contro il nemico”.
Si abbattano delle querce in città a cuor leggero…, forse questo non dovrebbe meravigliarmi. Nemmeno che non ci si stia occupando abbastanza delle sorti della chiesina millenaria che vive sullo spartitraffico di Via Lorenteggio, o meglio non dovrebbe meravigliarmi in un tempo in cui i senza volto dell’ISIS distruggono ovunque, indisturbati, i segni delle radici della nostra comune civiltà delle origini… eppure mi meraviglia comunque il nostro restare come inermi, addormentati, come in un incubo in cui si urla senza che si stia emettendo realmente suono, come …drogati!
Madre Natura non ha bisogno di noi… siamo noi ad avere bisogno di Lei sulla via dell’evoluzione.
Come dice il Buon Maestro è necessario “convertirsi”, voltare lo sguardo dalla via dell’autodistruzione e dirigerlo nuovamente sulla via di un progresso che sia realmente al servizio dell’evoluzione dell’essere umano. Se per costruire una metropolitana si rende necessario distruggere decine di querce, alcune vicine al secolo, e se si da a questo il nome di progresso, allora bisogna intendersi bene sulla parola progresso: “Progresso di chi?”
Osservo ancora l’orma del mostro sulla piazza e mi accorgo che di umano non ha niente!
(Immagini di Daniela Bedeski)
Magda Giannino
Una testimonianza dalle zone in cui vivono gli alberi difesi
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